Ho appena ricevuto e tengo sul tavolo della mia vecchia cucina, sul quale scrivo pensieri vaganti ed extravaganti, come questi, un’immaginetta doppia di Teresio Olivelli, col cappello dell’alpino in capo, e due date sotto: 7/1/1916 Bellagio – 17/1/1945 Hersbruck.
Quest’anno, assieme al 600 della Liberazione (e di nuova Resistenza), si celebra anche il 60° anniversario della consunzione fino all’ultima goccia di questa lampada posta sul candelabro in un campo di sterminio, perché fosse punto di riferimento in quei giorni di accecata violenza e di bestiali comportamenti. Aveva dunque 29 anni Teresio Olivelli quando fu ferocemente eliminato perché fino all’ultimo s’era posto, lui ormai debolissimo di forze ma indomito nella sua coscienza d’uomo, a difesa d’un compagno di campo. Ne lessi la biografia appena uscita in seconda edizione nel 1975, di Alberto Caracciolo, edita da La Scuola, con profonda commozione.
Non doveva essere che così, non poteva essere che così. Come se tutto fosse già stato detto nella Preghiera che ebbi per vie clandestine fra le mani in quel crudo inverno 1944-45, a firma di Teresio Olivelli appunto. Fin dall’intitolazione: “Preghiera del ribelle per amore”, un giovane di 17 anni, con quel vulcano di desideri di fatiche di gioie che si portava di dentro, sentiva la pelle accapponarsi. Basta questo accenno per fare degna memoria del nostro Martire, accomunando il 60° della sua morte a quello della Liberazione e della nuova Resistenza?
L’immaginetta doppia che ho davanti, non fa riferimento a nessun 60° ma vorrebbe onorarlo, questo sì, patrocinandone la beatificazione. Avevo già ricevuto, una decina d’anni fa, il Notiziario di collegamento e informazioni per favorire la causa di canonizzazione del Servo di Dio Teresio Olivelli. Debbo dire che, allora, la beatificazione canonica non mi entusiasmò affatto. Oltretutto che bisogno c’era?
Un Martire non è già beato in sé, senza bisogno di aggiunte? E un velo di fastidio provai pensando alla possibile strumentalizzazione che se ne poteva fare, come è avvenuto e avviene in tanti casi. Si sa che il sangue raggrumato messo in teche d’oro ha bisogno d’un prodigio una volta tanto per mostrarsi sangue. E tuttavia non pensavo alla diluizione che se ne poteva fare per renderlo innocuo e accettabile da tutti, anche da parte di coloro che militavano sul fronte opposto all’Olivelli. Ma, leggendo ora quanto scritto sulla prima facciata del pieghevole dove si parla, con brevissimi accenni biografici, di Teresio, mi risulta che il sangue è già stato (per gli avvenimenti, penso, di questo decennio) di parecchio diluito. Vi si nomina una sola volta il fascismo, e solo per dire che il giovane Teresio vi aderì ma «parzialmente e criticamente”, distaccandosene poi “ideologicamente a causa delle primarie scelte cristiane”. Che cosa si vuol dire? Che se non avesse avuto la preoccupazione religiosa non si sarebbe staccato dal fascismo come ideologia? E quali furono queste scelte cristiane che lo allontanarono “ideologicamente” dal fascismo? Non furono le stesse che lo spinsero alla resistenza armata contro il risorgente fascismo della repubblica di Salò, dopo l’8 settembre 1943? È significativo che questa data venga riportata solo per dire che “non volendo farsi complice dei tedeschi, è’ arrestato e deportato in Germania”. C’erano allora dei complici. E chi? E prima di arrivare in un campo di Germania da quali altri campi passò? Nulla si dice del posto fondamentale che l’Olivelli assunse nella Resistenza e non solo nella lotta armata (posso senz’altro capirne le ragioni: non si può far penzolare da S. Pietro il nuovo beato con un mitra a tracolla!), ma – e qui penso sia la grande novità storica e non solo di quel periodo – nell’insufflare una motivazione alla Resistenza con un’impensabile, sconvolgente visione: Resistenza per amore, una scelta di ribellione al potere per Amore! Il pieghevole da cui sono partito accenna sì a questa preghiera ma col titolo: “Signore facci liberi”, comunemente detta – si spiega – “Preghiera del Ribelle per amore”. È questo il titolo vero, voluto dall’Olivelli, non l’altro. Ma come si fa a parlarne quando si beatifica chi l’ha scritta nel momento della sua grande scelta? Quando si proclama beato un uomo o una donna, si sa, il comportamento che lo caratterizzò fino all’ultimo vale non per una parte ma per tutta la Chiesa universale.
Ora il comportamento che caratterizza Teresio Olivelli fu di un “ribelle per amore” fino alla consumazione totale di sé perché era una ribellione per amore, non contro un potere astratto, sul quale difficilmente non si poteva concordare, ma un potere concreto, con un nome ben preciso, con divise altrettanto ben distinguibili, che,, indipendentemente dalle motivazioni soggettive, schiacciava ogni libertà e con ogni mezzo. Un conto invocare “Signore, facci liberi” al di fuori di un contesto preciso di tutta la preghiera, e un conto gridare: “Ascolta la preghiera di noi ribelli per amore” (la conclusione della preghiera!).
Teresio Olivelli esprime nella e con la sua vita l’inaudito connubio fra ribellione e amore, paradossalmente ribellione armata e amore disarmato. Penso che con lui, per la prima volta, questo avvenne nella storia degli uomini, e della Chiesa se dovesse essere beatificato. Ma per farlo passare dalle maglie dell’istituzione
religiosa bisogna togliergli il fazzoletto verde in modo da poterlo innalzare al di sopra delle parti e renderlo accetto a tutti, evitando così una specie di caso Lefebvre e per ragioni non essenzialmente ecclesiastiche. Ma che ci sta a fare il nostro Martire se gli si toglie la sua ribellione “per amore” che pure lo portò alla
conclusione per cui è proclamato beato? Nazifascismo e Repubblica di Salò non furono un’invenzione di Teresio Olivelli ma quel potere concreto che conculcava dignità e libertà di uomini liberi. Appunto per questa ribellione fu chiamato bandito, traditore, fu braccato, catturato, internato in campi nazifascisti fino al campo
d’eliminazione, e proprio per questa ragione eliminato. La motivazione del dare la propria vita per amore degli altri, che condiziona la beatificazione, sarebbe monca senza questo atto di ribellione incondizionata al potere, ossia senza dire la scelta che lo portò al dono totale di sé. La terza facciata, poi, dell’immaginetta riproduce la preghiera che i promotori della causa di beatificazione solitamente compongono per invocare Dio a che mandi a buon fine il processo. Orbene, fosse solo per quanto vi si legge, le motivazioni di esemplarità evangelica sono talmente ampie e generiche da poter comprendere uomini e donne, religiosi e laici, dediti al servizio del prossimo in qualsiasi forma. Se uno dovesse trovare il foglietto in fondo a una chiesa, come usa per comunicazioni e avvisi, leggendolo, fosse stato dalla parte opposta a quella che scelse Teresio Olivelli, non proverebbe nessun imbarazzo. Al massimo potrebbe rimanere indifferente senza nemmeno domandarsi chi fosse costui, tanto s’è diffusa la pia pratica della beatificazione. Mi rendo conto che c’è poco margine fra chi invoca Dio perché gli dia “la forza della ribellione” all’oppressione d’un potere che “in noi e prima di noi ha calpestato te, fonte di libera vita”, e quanti si collocarono dall’altra parte e continuano a sostenerla.
Certo, Teresio Olivelli con la sua scelta di “ribelle per amore” in vita pose delle difficoltà, e fu per questo che tale potere lo braccò finché lo ebbe ridotto al campo di sterminio. Se l’ondivaga sorte oggi porta a posti di potere “democratico” quell’altra parte, Teresio Olivelli non muta nella sua scelta fissata per sempre nella sua morte. Perché allora non dovrebbe anche in morte porre delle difficoltà? È vero che uno, morto, non ha più parte; che il sangue versato dall’una e dall’altra parte fa unità nell’unica terra; ma questo non unifica affatto, rendendole uguali e interscambiabili, le motivazioni per le quali questo sangue delle due parti fu versato. Ed è anche vero che volerlo nuovamente dividere lo si strumentalizza per ragioni di potere o di prestigio o di rivalsa che sono solamente dei vivi. Strumentalizzare i morti è l’ultima e conclusiva violenza che si consuma contro l’uomo.
Infine la quarta facciata del pieghevole. Al primo sguardo ho un tuffo al cuore, come si dice per sintetizzare le tumultuose ondate di sentimenti di fronte a un
evento inaspettato ma atteso. Eccola qui la preghiera del “Ribelle per amore”, mi dico, notando, sotto la fitta paginetta, la firma inconfondibile da pennino d’acciaio, in manu, mente et corde, del grande Teresio; e domando interiormente perdono al postulatore della causa di beatificazione per la mia severità di giudizio sulle prime tre, che mi si rivela ingiusta. Mi accingo, dunque, a rigustare per l’ennesima volta questa incredibile preghiera. Ahimé. La prima riga recita: Dagli scritti di Teresio Olivelli. Sono nove frasette che, estrapolate da ogni contesto, potrebbero essere attribuite a chiunque, dal novizio al giovane tenentino della repubblica di Salò ex A.C. durante i suoi ritiri spirituali. Nemmeno una frase tolta da quella preghiera del ribelle per amore che fotografa chi è Teresio Olivelli. Capisco. Non si può infatti estrapolare nessuna frase dal contesto di tale preghiera. Tentare di toglierne una, si corre il pericolo di trascinarsele tutte, tanto sono imbricate, come un virgulto che strappato per una nuova dimora, trascina con le sue diffuse radici tutta la terra che l’ha fatto crescere. E’ forse questo il prezzo che bisogna pagare perché la beatificazione non diventi una causa di scontro, come avvenne, con le precisazioni già espresse sopra, 60 anni fa?
Bisogna rispettare i nostri morti, non strumentalizzarli. Ma il prezzo della beatificazione è anche una divisione che si opera su chi si vuole beatificare: da una parte il ribelle, dall’altra l’uomo che fa agire in se stesso l’amore fino al dono della propria vita. Che ne risulta? Un manichino? Bisogna rispettare i morti, non
strumentalizzarli anche a fine di bene. La verità fa l’uomo libero, e beato. Oltretutto che bisogno ne abbiamo? Molti si ribellarono, molti rischiarono la vita e senza
interessi, solo gratuitamente, per amore della libertà, una “rivolta dello spirito contro la perfidia e gli interessi dei dominanti, la sordità inerte della massa, come anche Cristo la soffrì”. Questo rapporto fra il ribelle e Cristo per quanto riguarda le conseguenze della scelta fino a morirne sta a dire la sacralità della scelta e l’abuso che se ne farebbe se la si volesse accomodare. Penso che tutti i Morti, dell’una e dell’altra parte, ormai uniti nel loro sangue succhiato dalla stessa terra e
vedendone il senso, insorgerebbero indignati contro tale operazione. E infatti, se il loro sangue s’è mescolato con quello di Cristo per dirne l’amore assoluto, si
permetterebbe in tal modo che anche questo sangue venga strumentalizzato.
Senza contare che l’amore per la libertà fa parte dell’Amore di Dio ed è connaturale all’umana dignità. Dovremmo allora beatificare tutti i Martiri per la libertà, dalla cui parte si pone in prima fila Teresio Olivelli? E perché no? O tutti o nessuno. Se questo non può avvenire, lasciateci il nostro martire Olivelli allineato con tutti gli altri martiri; con o senza la preghiera del ribelle per amore, tanto la storia della dignità dell’uomo e della croce innalzata “a segno di contraddizione” fra oppressi e oppressori, li aveva già proclamati beati. Non si separi quanti il sangue gratuitamente sparso ha uniti, come il sangue gratuitamente versato di Gesù ha unito tutti gli uomini in un’unica salvezza. Anche per evitare, con l’aria che tira, e con qualche precedente recente di cattura addirittura di san Francesco, che si chiami lo stesso esegeta a spiegare che cosa intendesse il beato Teresio Olivelli con la sua scelta. Sarebbe certo il colmo; ma tutto è possibile. Tra parentesi
aggiungo che il piccolo depliant me lo inviò un’intrepida signora che conobbe per la sua “ribellione per amore” le carceri di S. Vittore e stava per essere caricata
verso un campo di eliminazione nazista, come accadde a Teresio Olivelli, quando ne fu sottratta da un’azione partigiana, il primo 25 aprile della nostra Liberazione.
Ha di Teresio una grande venerazione, senza bisogno che sia dichiarato beato, e in ogni occasione, sulle piazze e nelle chiese, declama la preghiera del “ribelle per amore”. La stessa che nutro io. Mi scrisse: “Fui partigiana e partigiana resto”.
Grazie, staffetta Itala.
Preghiera del Ribelle per amore (1944)
Signore,
che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce,
segno di contraddizione,
che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito
contro le perfidie e gli interessi dei dominanti,
la sordità inerte della massa,
a noi, oppressi da un giogo numeroso e
crudele
che in noi e prima dì noi ha calpestato Te,
fonte di libere vite,
da’ la forza della ribellione.
Dio che sei Verità e Libertà, facci liberi e
intensi:
alita nel nostro proposito, tendi la nostra
volontà,
moltiplica le nostre forze,
vestici della Tua armatura.
Noi Ti preghiamo, Signore.
Tu che fosti respinto, vituperato,
tradito, perseguitato, crocefisso,
nell’ora delle tenebre ci sostenti la Tua
vittoria:
sii nell’indigenza viatico, nel pericolo
sostegno,
conforto nell’amarezza.
Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario,
facci limpidi e diritti.
Nella tortura serra le nostre labbra.
Spezzaci, non lasciarci piegare.
Se cadremo fa’ che il nostro sangue si unisca
al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti
a crescere al mondo giustizia e carità.
Tu che dicesti: “lo sono la resurrezione e la
vita”
rendi nel dolore all’Italia una vita
generosa e severa.
Liberaci dalla tentazione degli affetti:
veglia Tu sulle nostre famiglie